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Una vita nel calcio, da giocatore prima e poi da manager, che può essere sintetizzata in due soli concetti: la passione e l’etica. Inalienabili. Ed è proprio questa la ragione per cui l’immagine di Dante Micheli, una bandiera per tutte le squadre in cui ha militato, rimane ancora oggi ben salda nel ricordo degli sportivi. La sorella Alessandra, insegnante di lungo corso, lo ha celebrato in un libro rievocativo abbinandolo alla figura del padre Antonio detto “Scafa”, a sua volta giocatore e allenatore nel Mantova dei pionieri. Lo ha fatto con passo leggero evitando la tentazione dell’enfasi, privilegiando invece l’aspetto cronistico attraverso il racconto di vicende di calcio e di vita molto spesso intersecatesi e a loro volta inscindibili. Parafrasando: che cosa sa di calcio chi sa solo di calcio? Dante Micheli ha applicato sin dai primi anni della carriera i dettami lungimiranti della lezione del padre: ha sempre guardato oltre, con quella “sensibilità silente” che Alessandra ha saputo cogliere al di là delle parole suggerite dall’affetto familiare. Ne è risultato uno spaccato d’epoca che mette a fuoco, storicizzandoli, non soltanto i caratteri di un calcio “a una dimensione”, così diverso per i suoi contenuti epici da quello attuale, ma che offre al tempo stesso la possibilità di conoscere da vicino anche i personaggi che l’hanno animato, consegnati accanto a Dante Micheli al mito e alla leggenda, come è consuetudine che sia quando i valori etici balzano con naturalezza in primo piano.
ANTEPRIMA SFOGLIABILE
Intervista ad Alessandra Micheli su Radio Rete 2000 - 28/04/2023
Dante Micheli è stato un calciatore di successo prima e poi un manager avveduto lasciando un’ampia traccia di sé in un mondo alimentato prima di ogni altra cosa dal fuoco della passione. Il senso di “appartenenza alla maglia” aveva all’epoca (parliamo degli anni Sessanta e Settanta) la funzione di un collante esemplare: ha aggregato in un mondo variegato ma inscindibile giocatori e allenatori, tifosi e dirigenti, giornalisti sportivi e analisti del costume. Di questo mondo Dante è stato partecipe con ruoli da protagonista senza mai perdere di vista, tuttavia, quelle coordinate di carattere etico ereditate dal padre Antonio, a sua volta calciatore e allenatore nella stagione dei pionieri. Ed è stata proprio questa la chiave di scrittura utilizzata dalla sorella Alessandra, orgogliosamente tesa a testimoniare una radice familiare sintetizzabile in una parola che oggi ha un sapore a tratti persino alieno: serietà. Quella serietà che è un bene non barattabile e che nel caso di Dante è apparso l’elemento guida nel corso di una vicenda professionale vissuta nel calcio senza sbavature, all’insegna dell’etica. Ha potuto farlo perché non ha mai dimenticato, anche al vertice della carriera, il senso ludico del confronto, quel “mettersi in gioco” che chiama l’uomo a dare sempre e comunque il meglio di sé, nel calcio come nella vita. All’inizio della carriera Dante ha avuto la fortuna di incontrare un tecnico visionario come Edmondo Fabbri, a sua volta esordiente in panchina, e di trovare sul campo, da giocatore professionista, la conferma di quei valori che il padre gli aveva trasmesso già durante le prime esperienze nell’oratorio del S. Egidio, scuola di calcio ma anche di vita. Accanto a Dante, in un Mantova consegnato al ricordo degli sportivi con un appellativo a tinte forti (il “Piccolo Brasile”) personaggi a loro volta entrati nel mito: Gustavo Giagnoni, William Negri, Renzo Longhi, Massimo Paccini, tutti partecipi di un’ascesa che ha portato la squadra biancorossa dalla Quarta serie alla Serie A nel giro di cinque scintillanti stagioni. A vent’anni ancora da compiere, passato dal ruolo di centravanti a quello più consono di mediano, Dante ha compiuto il grande salto nel calcio di vertice trovando spazio in una Spal che rappresentava all’epoca l’orgoglio delle squadre provinciale. Eccolo subito in Nazionale con la maglia azzurra dei Cadetti ed eccolo sfiorare addirittura la Nazionale maggiore. Poi la stagione indimenticabile di Firenze con quella maglia viola indosso che è stata per lui quasi una seconda pelle, e in successione gli anni di Ferrara, per la seconda volta, e di Foggia prima di tornare a vele spiegate al primo amore: quel Mantova che gli avrebbe trasferito in serie, in uguale misura, gioie e dolori. Da calciatore a manager il passo è stato quasi immediato. Già in campo Dante aveva confermato non soltanto qualità di leader ma anche di “aziendalista”, legato ai destini di una squadra come il Mantova che aveva ai suoi occhi un afflato persino familiare. Una volta passato dal campo alla scrivania erano cambiate le mansioni ma non era cambiato il pathos: Dante non aveva mai scordato, neppure nei momenti di maggiore impegno dirigenziale, la vera essenza del calcio, la bellezza che nasce dall’allegria del giocare per giocare. Il racconto di Alessandra si è snodato lungo le tappe della carriera di Dante con un obiettivo precipuo, quello di evitarne l’oblio costruendo riga dopo riga il canovaccio di un suo personalissimo diario della memoria: custodire, prima ancora che tutelare, un’immagine che il tempo, inesorabilmente, stava cominciando a intaccare.