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Immerso nella luce morbida di un tardo pomeriggio di ottobre iniziai la salita di Stromboli. Il mare, l’aria e il paesaggio sottostante erano immobili come in un incantesimo. Il silenzio surreale era interrotto a tratti da un vivace brontolio e da alcuni sordi boati, accompagnati da nuvole di fumo nero. L’emozione saliva con me e dentro di me. All’improvviso, un vento leggero riempì l’aria di un forte odore di zolfo. La luce lentamente lasciava il posto al blu. Ora il paesaggio era lunare, sospeso e straniante; in attesa con il cuore in gola, sentii la terra tremare sotto i piedi e subito dopo un grande boato. E vidi il fuoco volare nel cielo: un’irreale luce gialla illuminava quell’energia primordiale. “Iddu” aveva parlato ancora una volta. Io, mi sentivo come un granello di sabbia in balia degli Elementi, perduto e felice.
ANTEPRIMA SFOGLIABILE
Intervista a Fernando Zanetti su Radio rete 2000 - 30/06/2023
Promozione premio letterario su Radio rete 2000 - 30/06/2023
Reduci da una crociera su una zattera di fortuna in un lago abitato da gigantesche – e poco rassicuranti – creature del Giurassico, dall’incontro con un branco di mastodonti che pascolava serafico sotto lo sguardo di un proto-ominide del Terziario e, soprattutto, dalla tempestosa quanto improbabile risalita all’interno di un condotto magmatico, il professor Otto Lidenbrock e i suoi compagni concludono le proprie avventure ruzzolando sui fianchi dello Stromboli, dopo essere stati eruttati durante una delle sue cicliche esplosioni. È singolare che – tra le migliaia di vulcani del pianeta – Jules Verne abbia scelto questa come ultima tappa del “Voyage au centre de la Terre”. Di sicuro, come sua abitudine, lo scrittore avrà cercato di documentarsi su quel piccolo cono vulcanico sperduto nel Tirreno, quanto meno per sapere che la sua attività è di natura prevalentemente esplosiva e, dunque, che i temerari protagonisti del romanzo non sarebbero finiti ad arrostire nel mezzo di un fiume di lava. Seppure grigia e velata da pallidi cirri, la troviamo all’orizzonte dello Stretto che Antonello da Messina raffigura nella “Crocifissione di Sibiu”. Chiaramente si tratta di una licenza pittorica, giacché da quella prospettiva Stromboli rimarrebbe dietro l’estrema propaggine nordorientale della Trinacria e l’autore avrebbe dovuto possedere un collo da giraffa per scorgerla, ma di certo è l’unica isola ad essere stata ammessa al momento più intenso e drammatico della cristianità. Due secoli più tardi, invece, finirà al centro del processo intentato dalla vedova di un commerciante inglese la cui reputazione rischiava di essere compromessa dalle testimonianze dell’equipaggio di una nave, pronto a giurare di averne visto sparire il fantasma tra le fiamme del cratere. Il giudice diede ragione ai marinai, con una sentenza che allo stesso tempo ratificava l’esistenza degli spiriti e il fatto che Stromboli – inequivocabilmente – dovesse essere l’ingresso dell’inferno. Terra sacra o luogo diabolico, dunque? Anche la sua geografia è segnata da un netto dualismo: i centri abitati – quello principale a Nord-Est, la piccola Ginostra a Sud-Ovest – sorgono agli opposti e non sono collegati tra loro via terra, a meno che non si voglia valicare il vulcano. Nel 1954 l’arcipelago contava circa 15000 presenze, in prevalenza straniere, due terzi delle quali registrate nella sola Stromboli: se i numeri non mentono, la storia del turismo – ossia dell’epocale sconvolgimento che ha cambiato per sempre il volto e l’essenza delle Eolie – è iniziata lì. E parlando di sconvolgimenti, non è la sola occasione nella quale Stromboli ha dato prova di saper scuotere le fondamenta del circondario. Alla fine del 2002, una frana sottomarina sulla Sciara del Fuoco ha generato un’onda anomala che si è propagata – con conseguenze fortunatamente non tragiche – fino alle altre isole e alla costa della Sicilia. Lo Stromboli ha finito per essere personificato come un’entità benevola, il nume tutelare e protettivo che sovrintende alle umane esistenze. “Iddu”, lo chiamano. E sta nell’ordine delle cose – considerata la sua natura – che “Iddu” ogni tanto dia in escandescenze. Nel 1930 il bilancio è stato feroce: sei vittime, travolte da un flusso piroclastico piombato sul mare poco a Nord di Piscità. Nel luglio del 2019, invece, è toccato a uno sfortunato escursionista; pare sia inciampato mentre fuggiva dalla nube di pomici e gas che incombeva sul versante di Ginostra. Poteva andare molto peggio, in termini di vite umane, perché quell’esplosione – del tutto inattesa – è avvenuta alle quattro del pomeriggio, ora del tradizionale appuntamento di trekker e guide davanti alla chiesa di San Vincenzo Ferreri, prima di cominciare la salita ai crateri. Un po’ più tardi, e sarebbe stata un’ecatombe: la sera prima, infatti, in cima c’erano circa trecento persone. Da allora non si sale più. I turisti devono accontentarsi di ammirare lo spettacolo delle eruzioni dalla Sciara, fermandosi a quattrocento metri o, talvolta, ancora più in basso: dipende dall’umore di “Iddu”. Un articolo pubblicato nel 2020 sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports” spiega come – in effetti – queste esplosioni parossistiche siano precedute da segnali specifici, che vengono chiamati “precursori sismici”; purtroppo questi segnali si manifestano soltanto una decina di minuti prima, e dunque non sono di grande utilità per pianificare azioni preventive. D’altra parte, “Iddu” non è incline a rivelarsi a una prima occhiata superficiale. Se la vulcanologia avesse un suo “Canone di Policleto”, o un corrispondente dell’Uomo vitruviano, sicuramente il modello sarebbe stato Stromboli. Quel triangolo isoscele da manuale, impeccabile, incarna meglio di qualunque altro esempio la forma del vulcano perfetto, che si può immaginare mentre erompe dalle profonde acque del Tirreno e si spinge gradualmente fino a sfiorare i mille metri di altezza.